C’era una volta tanto tempo fa, un grande maestro zen chiamato Nan In che viveva in solitudine sulle montagne.
Un giorno un professore di filosofia scalò tutta la montagna fino in cima per recarsi all’eremitaggio del maestro. Arrivò molto affaticato e sudato e il saggio lo fece accomodare nella sua capanna.
“Prendi fiato”, disse il maestro, ma il professore era molto agitato, mille domande saltavano nella sua mente e aveva molta fretta di ricevere risposte dall’eremita.
Cominciò come un fiume in piena rivolgendosi al maestro: “Sono venuto qui per sapere del Nirvana, della Liberazione, di Dio…” e cominciò a fare domande su domande senza sosta. Il Maestro ascoltò in silenzio con un sorriso.
Quando il professore ebbe finito, almeno in apparenza, disse: “Guarda come sei affaticato, arrivi da lontano, aspetta, ti preparo una tazza di tè e vedrai che mentre lo sorseggerai si risolverà ogni tua incertezza”. E così si mise a preparare il tè.
Il professore ribolliva ancora di una folla di domande, così tanto che la sua testa sembrava fumare. Mentre il maestro preparava il tè cominciò a sentirsi perso. Tra sé e sé pensava: “Caspita, ho scalato questa montagna per niente! Questo mi sembra matto, è andato a fare il tè e crede che berlo possa dissetare ogni mio interrogativo su Dio? Deve essere un pazzo davvero! Caspita, dove sono capitato, però adesso come faccio? Si sta facendo notte e non posso scendere da questa benedetta montagna, perdindirindina…!”.
Il maestro, sorridente, tornò con la teiera piena del caldo e profumato tè e iniziò a versarlo nella tazza. E continuò a versarlo. La tazza era ormai colma e il tè stava straripando, riempiendo anche il piattino, ma lui sembrava assorto in se stesso e continuò a versare. Alla fine anche il piattino fu colmo. Una goccia in più e il tè sarebbe finito sul tappeto.
Il professore si sentì oltraggiato da tale idiozia ed esplose: “Fermati! Cosa stai facendo? Sei pazzo, forse? Non vedi che la tazza è piena? Non vedi che anche il piattino è stracolmo?”.
Il Maestro rispose: “Questo è proprio come stai tu, non lo vedi? Sei così pieno di domande che anche se ti rispondessi non avresti il minimo spazio per accogliere le mie risposte. Sei entrato qui e hai invaso ogni angolo della mia capanna che ora trabocca della tua agitazione. Ora vai per favore. Svuota la tua coppa. Fai spazio. Svuotati. Svuota la tua mente!”.
Questo breve racconto, tratto dal sito dello Sri Papaji Center, rappresenta una metafora ideale di quello che dovrebbe essere l’approccio (anche) allo Yoga: con una mente aperta, “vuota” e veramente disponibile ad accogliere l’esperienza e gli insegnamenti che la pratica porta con sé.
Il nostro peggior nemico è, che se ne sia consapevoli o meno, il nostro ego, con tutte le sue “sfaccettature”: le nostre aspettative, il nostro “pensare di sapere”, la nostra disattenzione, la nostra superficialità e la mancanza di concentrazione sono tutti ostacoli che si frappongono tra noi e la nostra piena e reale esperienza.
Ecco di cosa è piena la nostra “tazza”: degli “io so”, “io penso”, “io non posso”, “io posso”… Io, io, io, io, io…
Parte di ciò è legata a nostre esperienze passate e/o a informazioni che abbiamo assimilato ma che, non necessariamente, corrispondono a verità (tanto più in questi tempi nei quali, online, si trova praticamente tutto e il contrario di tutto). Altro dipende da una nostra forma di resistenza – spesso inconsapevole – rispetto all’idea di metterci pienamente in gioco. Qualsiasi cosa, pur di proteggere in tutti i modi “io”!
Sapere di non sapere, non avere aspettative, una sana e “salvifica” resa della testa (produttrice spesso incontrollata di pensieri su pensieri) al cuore e, di conseguenza, accettare e accogliere veramente informazioni, correzioni e suggerimenti: solo così la nostra “tazza” può essere davvero vuota e può esserci un reale spazio per acquisire e fare proprio l’insegnamento…
Altrimenti, per il tempo in cui saremo in presenza di un insegnante, al massimo la nostra mente si racconterà di aver fatto l’esperienza che stava cercando e della quale sentiva tanto il bisogno… ma, in realtà, non ci saremo spostati nemmeno di un millimetro dalla nostra “zona di comodo” perché tutto l’insegnamento è scivolato fuori e a noi non è rimasto nulla: la nostra “tazza” è entrata “piena” e tale e quale è uscita da una lezione, da un incontro… o da qualsiasi situazione.
Eh sì, questo è il segreto: il “giusto approccio” non vale solo per la pratica yogica… vale per tutta la nostra vita!
Sujan Singh
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