Dire addio

Yogi Bhajan

(tratto da Aquarian Times)

Yogi Bhajan

Solo una settimana fa, ieri, il Siri Singh Sahib, Yogi Bhajan, passeggiava sulla sua sedia a rotelle sui terreni dell’ashram dell’Hacienda de Guru Ram Das, elegante con i suoi occhiali da sole e con il suo piccolo berretto bianco, mentre sorrideva e parlava con le persone.

Non si mostrava in pubblico dai tempi del Corso sul Japji di giugno e fu una piacevole sorpresa per tutti i devoti sevadar che si preparavano a incontrarlo negli appuntamenti autunnali del Khalsa Council.

Gli incontri del Khalsa Council riuniscono Ministri del Sikh Dharma da tutto il mondo, quindi c’erano molto amore e risate nell’aria. Le persone che avevano viaggiato per centinaia di chilometri avevano la possibilità di salutarlo.

Ho visto formarsi una folla e mi sono chiesta cosa stesse succedendo, ma ero troppo preoccupata per una riunione a cui dovevo partecipare. Solo più tardi seppi che era arrivato per fare una “ispezione a sorpresa” negli uffici del Segretariato. Quella notte tornò a casa, si addormentò e, a parte per i pochi minuti di domenica, quando parlò al telefono con quelli di noi che erano riuniti alla Gurdwara, il Siri Singh Sahib non ha più riaperto gli occhi.

L’organizzazione degli incontri del Khalsa Council richiede molta dedizione e molta energia. Con oltre 120 Ministri provenienti da quasi una dozzina di Paesi diversi, c’è un’enorme quantità di lavoro e di amore messi negli incontri del Khalsa Council. Alla fine di tutto ero esausta, quindi mi presi il martedì libero dal lavoro.

Mercoledì mattina mi svegliai con la paura di andare in ufficio, cosa che non succede quasi mai. C’era una qualche ragione per la quale non ce la facevo proprio ad andare al lavoro. Trascorsi la mattinata a fare delle commissioni. Fare la spesa, portare la mia biancheria in lavanderia, comprare un regalo di compleanno per un amico. All’una del pomeriggio sapevo che dovevo andare, ma non volevo farlo. Non che fossi stanca. C’era solo qualcosa che non volevo affrontare.

Nelle comunità unite, quando succede qualcosa di significativo, tutti lo sanno, sia se hanno sentito qualcosa di ufficiale che qualcosa di non ufficiale. Pochi minuti dopo essere arrivati sul terreno dell’ashram, un’amica mi tirò in un angolo tranquillo. “Potrebbero volerci ore. Potrebbero volerci giorni”, mi disse. “Ma è davvero grave”. La nostra comunità in Germania aveva inviato delle e-mail e dei messaggi telefonici, chiedendo qualcosa da poter tradurre in tedesco per la stampa. Volevano che fosse pronto entro le successive 24-48 ore. Poi una delle segretarie mi chiamò. “I dottori dicono stasera”, disse. “Vieni da me e stai con la famiglia. Hanno bisogno di tanto amore e di supporto in questo momento”.
Noi vevamo già fatto un’enorme quantità di preparativi per questo momento. Comunicati stampa scritti, lasciando vuoto lo spazio per l’ora e per il giorno. Le foto, la sezione speciale su SikhNet, tutto già preparato mesi prima. Ma, in qualche modo, non pensi mai che quel momento arriverà. Pensi, “Oh, sarà in giro per sempre. È un maestro di Yoga. Può andarsene quando vuole. Sta solo giocando con noi”. Dopotutto, quante altre volte il Siri Singh Sahib è arrivato così vicino alla porta della morte solo per poi riprendersi e riderne?

Ma questa volta… questa volta era diverso. “Non mangia da una settimana. Le sue funzioni corporee si stanno spegnendo”. Ci sono momenti per i miracoli. E ci sono momenti per accettare che anche la morte è un miracolo. Che siamo nati e abbiamo questo corpo solo per un breve periodo. Per un infinitesimo di secondo nella linea temporale dell’Infinito, l’Anima ha la possibilità di fare esperienza di qualcosa, imparare una lezione, lasciare un’eredità. Niente… niente dura per sempre. Tranne l’Amore.

Dopo il lavoro guidai fino al Ranch. I Ragi della nostra comunità gemella di Phoenix erano arrivati qualche giorno prima e si stava tenendo una Akhand Path nella Gurdwara del Ranch. Gli amici e la comunità erano lì, a sostenere la famiglia e le persone più vicine al Siri Singh Sahib. C’era moltissimo cibo.

Guru Nanak dice che ci sono alcune cose delle quali possiamo fare esperienza, ma che non siamo in grado di descrivere. Gran parte della notte precedente era stata qualcosa di simile. Non c’è niente da raccontare, davvero. Abbiamo mangiato; abbiamo parlato delle cose di ogni giorno. C’erano lacrime qui e là. Alcune persone aspettavano, chiedendosi quando sarebbe successo. Altre persone dicevano: “Sarà con noi per molti altri anni ancora, vedrai”. La Gurdwara del Ranch era accogliente e tranquilla, illuminata calorosamente da candele e da luci soffuse. Dhan Dhan Ram Das Guru suonava quasi impercettibilmente in sottofondo mentre i Ragi cantavano a voce alta, salmodiando di continuo la Shabad*. Abbiamo meditato. Abbiamo pianto. Ci siamo presi in giro e abbiamo scherzato. E a un certo punto prima delle 9 di sera, decisi che per me era ora di andarmene.

Ci sono cose di cui facciamo esperienza sul piano fisico del tempo e dello spazio. E ci sono cose delle quali facciamo esperienza nel tempo e nello spazio sacri. La bellezza della vita è quando si può vivere in entrambi i mondi, godendosi il gioco fisico senza perdere il contatto con quella dimensione sacra. Mentre uscivo dal Ranch, il cortile era buio e silenzioso. C’erano alcuni uomini del servizio di sicurezza e ci scambiammo un saluto gentile. Mi girai e iniziai a camminare lungo il vialetto verso la strada, ma quasi subito, forse dopo solo pochi metri, sentii un leggero tocco sulla mia spalla destra.

Nel tempo e nello spazio sacri, noi possiamo connetterci e comunicare tra noi in modi che non richiedono il corpo fisico. Possiamo percepire direttamente ciò che è vero e reale. Non era un tocco fisico, lo sapevo. Era sottile. Mi voltai e mi trovai di fronte alla Cupola, il luogo in cui viveva il Siri Singh Sahib.

L’anima ha un suo linguaggio e lì, nell’oscurità, senza nessuno a guardare e con la brezza che frusciava tra gli alberi, il mio spirito ha avuto la possibilità di dargli il suo “Addio”. Ringraziandolo per tutti i doni che aveva portato con sé, ringraziandolo per tutto ciò che aveva sopportato per far crescere questo Dharma, per aver dato a noi Occidentali che non avevamo speranza, un senso di speranza. Era una preghiera senza parole piena di amore, di gratitudine e di affetto. E proprio alla fine, la mia anima si ricordò di quanto la vita sia temporanea, di quanto la morte sia illusoria. Che senso aveva dire addio? Sarò morta abbastanza presto (anche se vivessi altri 50 anni, non sarebbe comunque così tanto tempo). Ci incontreremo di nuovo dall’altra parte, nella Volontà di Dio, per Grazia del Guru, nella purezza e nell’Amore. Così sussurrai “A presto” e mi voltai per camminare e per andarmene.

Ancora una volta, sentii un leggero tocco sulla mia spalla destra. “E ora?”, pensai. Con esitazione, mi girai e guardai di nuovo la Cupola. E poi sentii lui – in quel modo sottile – abbracciarmi in modo paterno. Un abbraccio cosmico e un bacio silenzioso sulla fronte. Era solo Amore e nient’altro. E mentre mi giravo di nuovo per andarmene, nessun altro tocco sulla mia spalla. Solo la sensazione che lui mi solleticasse la spina dorsale, con il formicolio della Kundalini che viaggiava in tutti i chakra.

Lasciò il suo corpo pochi minuti dopo. Ma allora non lo sapevo.

Tornata a casa, ricevetti la prima telefonata circa un’ora dopo. Da una delle mie migliori amiche che l’aveva sentito da qualcuno che l’aveva sentito da qualcun altro. Niente di ufficiale ma, sapete come vanno le cose. Ero grata, le dissi, di averlo sentito da lei. Vibrammo insieme Akal e capii che era ora di mettersi al lavoro. Ma non ancora, perché la telefonata “ufficiale” ancora non era arrivata.

Meno di 30 minuti dopo, una cara amica di Austin, Texas, mi telefonò. Aveva sentito che il Siri Singh Sahib aveva lasciato il suo corpo. Era vero? “Sì”, dissi, “niente di ufficiale, ma è vero”. “La catena telefonica è già iniziata?” Le chiesi io. “Oh no, l’abbiamo sentito da qualcuno di Houston che l’ha sentito da sua figlia che l’ha sentito da…”.

OK, OK, ho capito.

Trenta minuti dopo, mi chiamò la segretaria dell’ashram. Non ebbi il coraggio di dirle che avevo già sentito la notizia due volte. La ringraziai per il messaggio e pensai… OK… ora è ufficiale… è ora di mettersi al lavoro.

Sono le 23:15 e sono seduta davanti al mio computer, a preparare i comunicati stampa da inviare ai media. Chiamo Guruka Singh, il Direttore Esecutivo di SikhNet, che sta lavorando con me su questo. “Sì “, ha detto non appena ha sentito la mia voce. “Sei una persona che avrei dovuto chiamare, ma non è ancora il momento”.

“Guruka Singh”, rispondo, “Ho già sentito della sua scomparsa da tre persone diverse”.
“Sì, beh, il Siri Singh Sahib ha chiesto che nessuno venga avvisato prima di due ore e mezza dopo che ha lasciato il suo corpo. Mancano ancora 15 minuti”.

“La gente di Austin ha già chiamato per chiedere se è successo e cosa si stia organizzando”.

Ci fu una pausa dall’altra parte del telefono. “Lo so “, sospirò infine Guruka Singh. “Anche Los Angeles ha già chiamato”.

La nostra comunità ha il suo modo di comunicare. Aspettammo altri 15 minuti e inviammo i comunicati stampa.

Le 23:30 del New Mexico corrispondono circa alle 12:30 in India. I comunicati stampa erano solo l’inizio, c’era altro lavoro da fare. Rispondere alle richieste di maggiori informazioni dall’India, pubblicare le informazioni sull’home page di SikhNet. Verso mezzanotte, Guruka Singh chiamò e disse: ”Qualunque cosa tu stia facendo, fermati. È ora di venire alla Cupola”.

Immaginate, se vi va, una terra semiarida, piena di rocce, di sterpaglia e di cactus. Montagne paterne si ergono verso il cielo, dando un senso di sicurezza e protezione. È quasi un posto vuoto, ma in un minuscolo angolino, qualcuno ha deciso di costruire una corte per il Guru. Con erba verde fresca, alberi da frutto e cespugli di rose. Bellissime statue, in stile greco, indiano, tibetano e cinese, abbelliscono i prati. I tradizionali edifici di mattone giallo si fronteggiano con curve al posto degli spigoli, caldi e accoglienti. E nascosta tra gli alberi più alti, una struttura architettonica creata in legno e vetro a forma di cupola.

Ieri sera, il cortile era illuminato dalle stelle del cielo. Eravamo centinaia di persone riunite, ma era così silenzioso, gli alberi sussurravano e mormoravano più forte delle persone. Ovunque camminassi, c’era qualcuno da abbracciare. Qualcuno che ti abbracciava. Un cuore aperto, addolorato e che offriva supporto, tutto allo stesso tempo.

Il personale senior e gli studenti del Siri Singh Sahib avevano formato una fila di accoglienza. Altri abbracci e parole gentili. Lacrime condivise e sorrisi. La loro presenza creò un enorme senso di conforto mentre entravamo nella Cupola per porgere i nostri ultimi omaggi.

È qui che forse la storia diventa troppo personale per essere raccontata a parole. C’era una dolcezza e una pace silenziosa nell’aria… Mi aspettavo quasi che aprisse gli occhi e mi lanciasse quello sguardo penetrante che lui lancia quando ti esamina da capo a piedi… Sembrava semplicemente che stesse dormendo…

Più o meno in quel momento, lo shock di tutto questo mi colpì. Sentii il mio corpo iniziare a intorpidirsi mentre aspettavamo insieme fuori, vibrando Guru Guru Wahe Guru Guru Ram Das Guru. Poiché Dio è così grande e così misericordioso, fu una vera benedizione che il perosnale dell’ambulanza incaricato di portare il suo corpo all’agenzia di pompe funebri fosse composto da giovani uomini Sikh con la barba e il turbante. A Española, molti dei giovani Sikh hanno trovato buoni lavori con la squadra di pronto soccorso. Guidano le ambulanze, prestano i primi soccorsi e ieri sera tre di loro erano lì: turbanti, barbe e uniformi, un distaccamento Sikh in servizio per scortare il Generale a casa.

Si cantava mentre l’ambulanza si allontanò dalla Cupola. Bole So Nihal … Sat Siri Akal. Akal. Akal. Akal. Sat Nam, Siri Wahe Guru. Era un suono gioioso. Era il suono della vittoria. Dopo tutto questo c’era ancora molto lavoro da fare per la stampa. Quando mi infilai nel letto, erano le 3:00 del mattino. Singhiozzai sul cuscino, ma non erano lacrime di dolore. Erano pianti di gratitudine. Tutto quello che potevo dire più e più volte, mentre ogni ricordo del mio tempo con lui scorreva nel mio corpo, tutto quello che potevo dire era: “Grazie. Sono così grata. Grazie”.

• Ek Ong Kaar Kaur Khalsa è Ministro Sikh, insegnante e scrittrice. Ha studiato la spiritualità orientale per quasi 20 anni. Attualmente vive nella comunità spirituale all’Hacienda de Guru Ram Das per il Sikh Dharma a Española, New Mexico, e lavora come Communications Director per SikhNet.com

 

Traduzione e adattamento in italiano a cura di Sujan Singh e Nimrita Kaur

 

Download articolo

Hai trovato interessante questo articolo? Commentalo e/o condividilo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *