(Sujan Singh)
“Quando va quel tanto che basta, fermo lì se no si guasta!”: vedendo questa immagine in rete, ho pensato a questa “regola d’oro” che spesso mi è tornata utile in ambito informatico e, riflettendo su una sua possibile applicazione anche all’ambito dello Yoga, mi sono venute in mente alcune domande/spunti di riflessione.
Può una disciplina millenaria, codificata in maniera diversa e tramandata nel corso dei secoli da Maestri di differenti epoche e tradizioni, aver davvero bisogno di essere ancora migliorata e “personalizzata”?
Siamo sicuri che rimanere fedeli a una tradizione sia sinonimo di “poco coraggio” o addirittura di un “timore reverenziale” che preclude nuove possibilità di crescita? Oppure, che seguire un “sentiero” già ben definito significhi soltanto adagiarsi, perdendo così l’occasione di percorrere strade diverse?
Io sento, io penso, io credo, io vedo, io so: quanto “io” spesso si intravede nei discorsi che accompagnano i “pionieri” di nuove e personalizzate forme di Yoga?
Cos’è che di fronte al “perfetto” fa nascere il bisogno di apportare delle modifiche, invece di fermarsi e godersi pienamente l’esperienza nel “qui e ora”?
Quale bisogno spinge a voler aggiungere il proprio tocco o a lasciare una propria impronta, come quei turisti che decidono di incidere il proprio nome sul monumento che hanno appena visitato come segno del loro passaggio?
Non è “particolare”, dopo secoli in cui i Maestri riconosciuti si sono contati sulle dita di una mano o poco più, che oggi si presentino a noi così tanti “maestri” con le proprie idee e i propri aggiustamenti? È forse questo il passaggio dall’Era dei Pesci all’Era dell’Acquario e, se così fosse, che ruolo ha il valore dell’umiltà per ogni insegnante di rimanere sempre “studente”?
Il rispetto e la gratitudine nei confronti di chi ci ha trasmesso degli insegnamenti immortali che spazio occupano nel nostro essere praticanti e insegnanti?
E oggi, come ultimi anelli di una catena, cosa significa e in cosa si manifesta il nostro essere custodi della purezza degli insegnamenti che sono arrivati fino a noi?
Insomma… Chi mai, di fronte alla perfezione di una pizza ben preparata e cucinata, si sognerebbe di aggiungere degli ingredienti o di modificarne la forma o la consistenza, come mostra la foto a corredo di queste parole?
Sarebbe bello se ci fosse un manuale in grado di dare una risposta “certa” a tutte queste domande (o se c’è chiedo a chi ne conoscesse uno di condividerlo), ma sta a ognuno di noi riflettere su queste considerazioni, chiudere gli occhi, magari meditare e poi provare a rispondere facendo attenzione ad ascoltare il Sé, il Vero Sé (lettere iniziali maiuscole non casuali)… e non una delle sue “maschere” con le quali siamo così abili a “coprirlo”…
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